Le colonne romane. Intervento di Franco Palma

martedì 15 gennaio 2008

Brindisi, 15 gennaio 2007. Apprendiamo dalla stampa che LE COLONNE non rappresentano più il punto terminale della via Appia. Tale ”verità” è stata rivelata al sindaco Mennitti dagli esperti da lui nominati, per cui il simbolo forse più importante della città non è più tale per decisione sindacale.


Non vogliamo soffermarci sulle argomentazioni scientifiche (che ci auguriamo siano state rigorose) e sugli strumenti applicativi (certamente laboriosi) di calcolo matematico, geometrico, fisico e di rappresentazione grafica, senz’altro impiegati dagli «Esperti», per giungere alla conclusione che neanche topograficamente, era possibile immaginare che la via Appia arrivasse fino al terminale delle Colonne brindisine, ma dobbiamo manifestare ugualmente il nostro dispiacere nell’apprendere la notizia.


Sapevamo che LE COLONNE  erano un monumento famoso quanto misterioso e, come tutti, non conoscevamo né le cause, né il tempo precisi in cui furono innalzate, ma abbiamo sempre pensato che forse il detto “vox populi vox dei” aveva tramandato in un certo senso una quasi verità nel tempo.


Il Camassa nella sua “Romanità di Brindisi” aveva forse rafforzato questo credere popolare, quando affermava nel Suo libretto che  «A segnare il termine della via Appia furono erette su d’una collinetta prospiciente al porto due maestose colonne marmoree, di cui una sussiste ancora tutta intera, mentre dell’altra si osserva semplicemente la base e uno dei rocchi».


Tra le ipotesi tramandate sulle origini delle colonne romane di Brindisi, quella più accreditata è che si trattava – prima – di un monumento fatto innalzare nel 110 circa d. C. dall’imperatore Traiano, per celebrare - con il potenziamento del nostro porto - la costruzione di una deviazione della via Appia per il tratto che da Benevento conduceva a Brindisi, passando da Canosa, Ruvo, Egnazia; strada che da lui fu detta Traiana o Appia-Traiana (ma anche Egnazia).


La prima parte dell’originaria via Appia era stata costruita nel 322 a. C. dal censore Appio Claudio il Cieco per unire Roma a Capua, ma qualche decennio dopo la strada fu prolungata sino a Benevento e Taranto, conquistata nel 272. Sottomessa cinque anni dopo anche Brindisi, si rese necessario il prolungamento fino a tale luogo, per premiare la lealtà dei brindisini, che nel 214 a. C. - a differenza dei tarantini - non si erano arresi ad Annibale; o del brindisino Lucio Ramnio, in particolare, che nello stesso anno fece fallire il piano del re macedone Perseo, che voleva battere i Romani facendone avvelenare i comandanti di passaggio dalla nostra città; o per premiare il contributo in denaro e soldati che Brindisi – con poche altre città – assicurò a Roma nella guerra contro i Cartaginesi anche dopo la disfatta di Canne; oppure il validissimo aiuto fornito a Silla (nell’83 a. C.), a Cesare (nel 48 a. C.) e a Ottaviano (il futuro Cesare Augusto, nel 38 a. C.), in occasione delle guerre civili che li videro vincitori rispettivamente su Mario, Pompeo e Marco Antonio.


Potevano essere, diciamo noi, come delle grandi “finete” che dovevano servire a delimitare o a circoscrivere un certo territorio prima che questo si perdesse nel mare nostrum. 
Si era anche ipotizzato che le colonne sarebbero servite, per un certo periodo, come faro mediante il posizionamento tra un capitello e l’altro di una robusta traversa di bronzo con un fanale dorato (opportunamente protetto e in grado di sopportare l’impeto dei venti) al centro, per dare ai naviganti un punto di riferimento e la possibilità di trovare riparo anche di notte dalle furiose tempeste per le quali nell’antichità era famoso l’Adriatico.


Comunque, in favore dell’ipotesi che considera le colonne come ”terminali della via Appia”, vi è la contemporanea costruzione a Benevento - l’altra città interessata dalla costruzione del nuovo tratto orientale della strada, di strategica importanza per le campagne orientali, in particolare contro i Daci - dell’arco celebrativo detto di Traiano; ed è molto probabile che Brindisi, punto di arrivo della duplice strada e base di partenza per l’Oriente, che forniva assistenza e vettovaglie alle imponenti armate romane, abbia avuto nell’occasione un proprio monumento celebrativo, come si legge in un’epigrafe ritrovata nel 1736 nel giardino del palazzo Montenegro (in una parete del quale fu murata), con la seguente iscrizione dedicata dai brindisini a Traiano:


IMP - CAESARI - DIVI - NERVAE - F - NERVAE - TRAIANO - AVG - GER - DACIC -PONT - MAX - TRIB - POT - XIV - IMP - V - COS - VI - P - P - BRVNDVSINI - DECVRIONES - ET - MVNICIPES 


(A Nerva Traiano Imperatore, Cesare, Augusto, figlio del divo Nerva, Germanico, Dacico, Pontefice Massimo, Tribuno per la quattordicesima volta, Imperatore per la quinta, Console per la sesta, Padre della Patria, i Decurioni e i Municipali Brindisini).


I lavori per la costruzione dell’Appia, che meritò l’orgoglioso appellativo di Regina delle strade – “Regina Viarum” – iniziarono nel 312 a.C., per volere del censore Appio Claudio Cieco (Appius Claudius Caecus), che fece ristrutturare ed ampliare una strada preesistente che collegava Roma alle colline di Albano.
È dubbio quale percorso seguisse l’Appia fino a Benevento, rimane però accertato che essa raggiungeva poi il mare a Tarentum (Taranto). Un’importante stazione era presente nella città di Uria (Oria) e da qui terminava a Brundisium (Brindisi), dopo aver toccato altri centri intermedi.


I lavori di costruzione si protrassero fino al 190 a.C., data in cui la via raggiunse come si è detto il porto di Brindisi. A partire da Benevento Traiano la prolungò fino a Brindisi, facendone la principale arteria del traffico, chiamata Via Appia Traiana che avrebbe dopo collegato in maniera più lineare Benevento con Canosa (Canusium) e Bari (Barium).


Ai nostri concittadini vogliamo augurare che non ci tolgano in futuro altri simboli della nostra città
 
Franco Palma presidente


Apprendiamo dalla stampa che LE COLONNE non rappresentano più il punto terminale della via Appia. Tale ”verità” è stata rivelata al sindaco Mennitti dagli esperti da lui nominati, per cui il simbolo forse più importante della città non è più tale per decisione sindacale.


Non vogliamo soffermarci sulle argomentazioni scientifiche (che ci auguriamo siano state rigorose) e sugli strumenti applicativi (certamente laboriosi) di calcolo matematico, geometrico, fisico e di rappresentazione grafica, senz’altro impiegati dagli «Esperti», per giungere alla conclusione che neanche topograficamente, era possibile immaginare che la via Appia arrivasse fino al terminale delle Colonne brindisine, ma dobbiamo manifestare ugualmente il nostro dispiacere nell’apprendere la notizia.


Sapevamo che LE COLONNE  erano un monumento famoso quanto misterioso e, come tutti, non conoscevamo né le cause, né il tempo precisi in cui furono innalzate, ma abbiamo sempre pensato che forse il detto “vox populi vox dei” aveva tramandato in un certo senso una quasi verità nel tempo.


Il Camassa nella sua “Romanità di Brindisi” aveva forse rafforzato questo credere popolare, quando affermava nel Suo libretto che  «A segnare il termine della via Appia furono erette su d’una collinetta prospiciente al porto due maestose colonne marmoree, di cui una sussiste ancora tutta intera, mentre dell’altra si osserva semplicemente la base e uno dei rocchi».


Tra le ipotesi tramandate sulle origini delle colonne romane di Brindisi, quella più accreditata è che si trattava – prima – di un monumento fatto innalzare nel 110 circa d. C. dall’imperatore Traiano, per celebrare - con il potenziamento del nostro porto - la costruzione di una deviazione della via Appia per il tratto che da Benevento conduceva a Brindisi, passando da Canosa, Ruvo, Egnazia; strada che da lui fu detta Traiana o Appia-Traiana (ma anche Egnazia).


La prima parte dell’originaria via Appia era stata costruita nel 322 a. C. dal censore Appio Claudio il Cieco per unire Roma a Capua, ma qualche decennio dopo la strada fu prolungata sino a Benevento e Taranto, conquistata nel 272. Sottomessa cinque anni dopo anche Brindisi, si rese necessario il prolungamento fino a tale luogo, per premiare la lealtà dei brindisini, che nel 214 a. C. - a differenza dei tarantini - non si erano arresi ad Annibale; o del brindisino Lucio Ramnio, in particolare, che nello stesso anno fece fallire il piano del re macedone Perseo, che voleva battere i Romani facendone avvelenare i comandanti di passaggio dalla nostra città; o per premiare il contributo in denaro e soldati che Brindisi – con poche altre città – assicurò a Roma nella guerra contro i Cartaginesi anche dopo la disfatta di Canne; oppure il validissimo aiuto fornito a Silla (nell’83 a. C.), a Cesare (nel 48 a. C.) e a Ottaviano (il futuro Cesare Augusto, nel 38 a. C.), in occasione delle guerre civili che li videro vincitori rispettivamente su Mario, Pompeo e Marco Antonio.


Potevano essere, diciamo noi, come delle grandi “finete” che dovevano servire a delimitare o a circoscrivere un certo territorio prima che questo si perdesse nel mare nostrum. 
Si era anche ipotizzato che le colonne sarebbero servite, per un certo periodo, come faro mediante il posizionamento tra un capitello e l’altro di una robusta traversa di bronzo con un fanale dorato (opportunamente protetto e in grado di sopportare l’impeto dei venti) al centro, per dare ai naviganti un punto di riferimento e la possibilità di trovare riparo anche di notte dalle furiose tempeste per le quali nell’antichità era famoso l’Adriatico.


Comunque, in favore dell’ipotesi che considera le colonne come ”terminali della via Appia”, vi è la contemporanea costruzione a Benevento - l’altra città interessata dalla costruzione del nuovo tratto orientale della strada, di strategica importanza per le campagne orientali, in particolare contro i Daci - dell’arco celebrativo detto di Traiano; ed è molto probabile che Brindisi, punto di arrivo della duplice strada e base di partenza per l’Oriente, che forniva assistenza e vettovaglie alle imponenti armate romane, abbia avuto nell’occasione un proprio monumento celebrativo, come si legge in un’epigrafe ritrovata nel 1736 nel giardino del palazzo Montenegro (in una parete del quale fu murata), con la seguente iscrizione dedicata dai brindisini a Traiano:


IMP - CAESARI - DIVI - NERVAE - F - NERVAE - TRAIANO - AVG - GER - DACIC -PONT - MAX - TRIB - POT - XIV - IMP - V - COS - VI - P - P - BRVNDVSINI - DECVRIONES - ET - MVNICIPES 


(A Nerva Traiano Imperatore, Cesare, Augusto, figlio del divo Nerva, Germanico, Dacico, Pontefice Massimo, Tribuno per la quattordicesima volta, Imperatore per la quinta, Console per la sesta, Padre della Patria, i Decurioni e i Municipali Brindisini).


I lavori per la costruzione dell’Appia, che meritò l’orgoglioso appellativo di Regina delle strade – “Regina Viarum” – iniziarono nel 312 a.C., per volere del censore Appio Claudio Cieco (Appius Claudius Caecus), che fece ristrutturare ed ampliare una strada preesistente che collegava Roma alle colline di Albano.
È dubbio quale percorso seguisse l’Appia fino a Benevento, rimane però accertato che essa raggiungeva poi il mare a Tarentum (Taranto). Un’importante stazione era presente nella città di Uria (Oria) e da qui terminava a Brundisium (Brindisi), dopo aver toccato altri centri intermedi.


I lavori di costruzione si protrassero fino al 190 a.C., data in cui la via raggiunse come si è detto il porto di Brindisi. A partire da Benevento Traiano la prolungò fino a Brindisi, facendone la principale arteria del traffico, chiamata Via Appia Traiana che avrebbe dopo collegato in maniera più lineare Benevento con Canosa (Canusium) e Bari (Barium).


Ai nostri concittadini vogliamo augurare che non ci tolgano in futuro altri simboli della nostra città
 
Franco Palma presidente

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