«Vi vedo così affannati a cercar di sapere chi sono gli altri e le cose come sono, quasi che gli altri e le cose per se stessi fossero così o così… ma secondo lei allora non si potrà mai sapere la verità? Se non dobbiamo più credere neppure a ciò che si vede e si tocca! Ma sì, ci creda, signora! Perciò le dico: rispetti ciò che vedono e toccano gli altri, anche se sia il contrario di ciò che vede e tocca lei». Esiste dunque una verità assoluta? Si può avere una visione certa di ciò che ci circonda? Ha ragione la signora Frola o l’impiegato di Prefettura? Nell’opera si scontrano le diverse percezioni dei fatti che accadono in questo villaggio italiano degli anni Trenta. Pirandello sottolinea la relatività del concetto di verità e mostra in che modo le impressioni soggettive possano mettere a repentaglio la reputazione di qualcuno: l’autore evidenzia l’angosciosa condizione dei diversi personaggi, la cui psiche è frammentata e spersonalizzata. Essi si “allineano” secondo le convenzioni della società borghese, ma hanno difficoltà a comunicare tra loro proprio perché non riescono a vedere una realtà assoluta e univoca. L’uomo è quindi “intrappolato” in questa dimensione sociale e ipocrita e costretto a indossare una “maschera” che lo rende schiavo. Egli è controllato e inquadrato in questo sistema oppressivo dal quale non esiste via d’uscita se non la follia o addirittura il suicidio.
Con la commedia, tratta dalla novella “La signora Frola e il signor Ponza suo genero”, Pirandello si conferma acuto indagatore e interprete della crisi dell’uomo contemporaneo, privo di certezze e incapace di integrarsi in una società che lo opprime e lo aliena. Uno dei motivi che più frequentemente tornano nella sua produzione, ancora oggi ampiamente rappresentata e che diede all’autore il successo internazionale, è il tema dell’impossibilità dell’uomo di conoscere sia gli altri sia se stesso. Ciò dipende dal fatto che non esiste, secondo Pirandello, una realtà oggettiva valida per tutti: esistono, invece, tante verità soggettive quanti sono gli uomini. Il dramma fu anche inserito nel volume “Maschere Nude”. Scriveva Antonio Gramsci nel 1917: «I due personaggi separatamente sembrano saggissimi ma messi a confronto devono risultare in contraddizione sebbene reciprocamente operino come se veramente uno faccia la commedia per pietà dell’altro. Quale è la verità? Chi dei due è il pazzo? Mancano i documenti: il paese loro d’origine è distrutto dal terremoto, chi potrebbe informare è morto. La moglie del Ponza fa una breve apparizione, ma l’autore preso nell’incanto della sua dimostrazione, ne fa un simbolo: la verità che appare velata, e dice: io sono l’una e l’altra cosa. Uno sgambetto logico semplicemente».
L’unica persona che può svelare il mistero è la moglie del signor Ponza. La donna entra in scena con il volto coperto da un fitto velo nero, impenetrabile, e confessa la propria verità: afferma di essere la figlia per la signora Frola, la seconda moglie per il marito e per sé niente: «Per me, io sono colei che mi si crede!». La sua identità è quella che gli altri le attribuiscono perché la verità non esiste. Esiste soltanto una molteplicità di punti di vista. «A parte la grandezza del testo - ha detto Milena Vukotic, che in scena dà il volto alla signora Frola -, la commedia mi riporta con non poche emozioni ai tempi della compagnia di Paolo Stoppa e Rina Morelli, due giganti della scena, quando interpretai il ruolo della giovane Dina. Era una delle prime cose che facevo a teatro, un gran bel ricordo».