Adelio Bocci è un cittadino italiano. È nato e cresciuto a Brindisi, dove viveva con il padre prima che, dieci anni fa, venisse portato via dalla madre e trasferito in Kazakistan senza il consenso del genitore e senza passaporto. Da allora, nonostante sentenze italiane e convenzioni internazionali, lo Stato italiano non è riuscito a riportarlo a casa.
A fine aprile, la famiglia paterna ha presentato un esposto alla Procura di Roma per denunciare l’inerzia dei Ministeri degli Affari esteri e della Giustizia.
Una denuncia non solo morale, ma formale.
«Le Istituzioni hanno fallito in questa vicenda», ha dichiarato l’avvocato Pierluigi Vicidomini, legale della famiglia, durante una conferenza stampa a Brindisi.
E il fallimento riguarda anche la mancata applicazione della Convenzione dell’Aja sulla sottrazione internazionale di minori, che in teoria dovrebbe garantire il ritorno immediato del bambino nel Paese di residenza abituale.
La madre di Adelio è stata condannata in Italia a tre anni di reclusione e alla sospensione della responsabilità genitoriale. Ma nessuna delle sentenze è stata eseguita. «Come è stato possibile che un minore, senza passaporto e senza il consenso del papà, sia arrivato in Kazakistan? Ce lo devono spiegare», ha detto l’avvocato Pierluigi Morena.
Nel frattempo, Adelio cresce lontano dal padre, in un Paese straniero, senza contatti con la sua famiglia italiana. Un’intera parte della sua identità è stata tagliata fuori. «Non c'è volontà politica a risolvere il caso», ha denunciato Annalisa Loconsole, presidente dell’associazione Penelope.
Questa non è solo la storia di un bambino rapito. È la storia di uno Stato che, a dispetto di leggi e principi, ha lasciato un suo cittadino – per di più minore – solo in una battaglia più grande di lui.
L’Italia ha il dovere morale, prima ancora che giuridico, di riportare indietro Adelio Bocci.